Mese di maggio: “Da Gerusalemme a Gerico: accarezzando la sofferenza..”

Pubblicato giorno 7 maggio 2021 - Archivio, Insieme si può, Riflessioni

 Riflessioni sul capitolo 2 dell’Enciclica “Fratelli Tutti “

FRATELLI TUTTI è l’Enciclica del tempo della Pandemia, un tempo che in tanti definiamo sospeso, un tempo che Papa Francesco dice “ha smascherato la vulnerabilità del mondo”, che avevamo cercato di nascondere dietro grandi poteri economico-industriali, progresso tecnologico, potenze politiche, grandi conquiste digitali… Viaggiamo nello spazio eppure a Marzo 2020 non avevamo mascherine per difenderci da un esserino infinitamente piccolo, che però ha paralizzato il mondo. Tanto ricchi, tanto potenti… tanto impreparati a fronteggiare l’emergenza. Considerare, dice il Papa, che questa “tempesta”, ha travolto tutti, dalle grandi potenze a quelle meno sviluppate (che se la stanno passando peggio onestamente) deve farci riflettere che per salvarci, abbiamo bisogno del contributo di tutti. Perché il vero pericolo è, che risolta l’emergenza, si pensi di poter tornare a ragionare come prima, dove gli interessi di pochi sono stati anteposti al bene di tutti. Ben vengano la ricchezza e le conquiste scientifiche ma questi devono essere strumenti affinché possiamo pensare ad una società globale interconnessa per costruire strumenti che garantiscano la sicurezza e il progresso di tutti. E in questo processo che ci porta a scoprire l’importanza e la bellezza di essere Fratelli tutti, ognuno di noi ha la propria personale responsabilità, che non possiamo continuare a delegare e “scaricare” ad altri. Il Papa infatti ci interroga personalmente mentre ci guida “sulla strada che porta a Gerico” invitandoci a rileggere la famosa parabola del “Buon Samaritano”, rapportandola al tempo pandemico che stiamo vivendo.

La storia la conosciamo, è la risposta di Gesù ad un dottore della Legge che cerca di farlo cadere in tranello chiedendogli come ottenere la vita eterna.

Gesù fondamentalmente gli risponde “ama il prossimo tuo come te stesso”.

Prima considerazione. Questo dottore della legge che si suppone fosse una persona onnisciente proprio tutto non sapeva e infatti chiede a Gesù “chi è il mio Prossimo?” Quante volte abbiamo giudicato i provvedimenti presi rispetto a questa pandemia giudicandoli errati. Ammesso che gli sbagli siano stati fatti, ci siamo invece mai chiesti rispetto a questi sbagli, per limitarli, per aiutare che cosa noi abbiamo fatto. Abbiamo avuto un comportamento responsabile. Siamo stati rispettosi e abbiamo cercato di aiutare quanti hanno sofferto per questa pandemia. Come ci saremmo comportati noi nei confronti del bisognoso abbandonato sul ciglio della strada? O meglio, il Papa ci chiede proprio, il nostro agire a quale personaggio di questa Parabola corrisponde. Per rispondere vediamo chi sono i Personaggi. La scena si apre con un giudeo ferito, appena attaccato dai briganti. Chi sono i briganti? Gesù non li identifica, come invece fa con gli altri personaggi della Parabola. Diremmo che non è necessario specificare chi siano i briganti, li conosciamo. I briganti sono quelli che rubano, picchiano, rubano, usano la violenza per sottomettere gli altri e ricavarne un interesse personale. Noi “uomini e donne di buona volontà” non abbiamo nulla da spartire con i briganti. Ne siamo proprio sicuri? Tante volte i briganti siamo noi. Tutte le volte che anteponiamo i nostri interessi personali alla dignità degli altri. Ogni volta che invece di seminare bene fomentiamo il male. “Non fare agli altri quello che non vuoi venga fatto a te” dice Gesù. Siamo briganti ogni volta che non rispettiamo questo comandamento di fratellanza! Non importa quanto grande sia il peccato… siamo briganti quando agiamo senza considerare quanto le nostre azioni possano influenzare, ferire il nostro “Prossimo”, lontano o vicino che sia. Senza considerare poi che questa pandemia, ma la vita in generale con la sua imprevedibilità, può ribaltare i ruoli in un attimo, facendo sì che siamo noi i “feriti”, i bisognosi sofferenti che hanno bisogno di aiuto e di cure. Ma a questo punto la Parabola ci introduce ad un altro dei mali che da sempre affligge e deturpa la nostra “umanità”: l’indifferenza! Gli indifferenti sono complici dei briganti. Siamo indifferenti quando non aiutiamo chi soffre, ma siamo indifferenti anche quando distogliamo lo sguardo dalla sofferenza, disprezzandola talmente tanto da arrivare ad escluderla. Per cogliere questo aspetto dobbiamo considerare una seconda chiave di lettura per questa Enciclica, che è, o meglio avrebbe dovuto essere, la ventinovesima scena che Giotto avrebbe dovuto dipingere per adornare la Basilica di San Francesco ad Assisi: l’abbraccio tra il Santo e il lebbroso di Rivotorto. Ma questa scena non venne mai rappresentata perché i Signori del tempo, che pagavano Giotto, non volevano si sapesse che ad Assisi ci fossero i lebbrosi, i poveri. Gli “scarti” i poveri sono una macchia che preferiamo dimenticare, perché la loro condizione interroga le nostre coscienze, su quanto abbiamo fatto di giusto e di sbagliato. E poi se la sofferenza non la vediamo, non c’è necessità di alleviarla, di curarla.

Questo mi fa pensare alla tragica avanzata della Pandemia in India, che negli ultimi giorni sta diffondendo paura e morte, sfiorando le 4mila vittime di Covid giornaliere. Qualcuno dice che lo scenario è drammatico e talmente devastante che preferiscono non farci vedere le immagini di questo paese martoriato. Non le fanno vedere per non spaventarci, per non demoralizzarci proprio quando, con il vaccino, stiamo provando a risolvere l’emergenza. Forse è vero… ma forse non ce le fanno vedere perché le migliaia di morti riversi nelle strade rappresentano il fallimento di quella società di cui abbiamo detto all’inizio, che ha basato tutto sui poteri forti e la ricchezza. La società che investe in armamenti bellici e non nella costruzione degli ospedali. La società che se non vede la sofferenza di questi poveri, domani, quando torneremo alla “normalità”, può tornare ad essere brigante, sfruttando questa gente! Tanto nessuno vede! A questo punto potremmo obiettare che dinanzi a questo mare di corruzione non abbiamo potere politico o decisionale. Siamo solo delle piccole gocce. E mentre restiamo immobili il ferito rimane a terra.

Madre Teresa ci ha insegnato che il Mare è fatto di tante gocce! Se non vogliamo essere complici dei briganti dobbiamo agire in prima persona, anche nel nostro piccolo, con le nostre scelte di vita. Dobbiamo avere fiducia e coraggio come quel Samaritano, che non ha esitato a stravolgere i programmi della sua giornata, non ha pensato di che etnia fosse l’uomo ferito. Si è fermato gli ha prestato tempo e cura. Gli ha offerto conforto, coinvolgendo altre persone comprendendo che  “nessuno si salva da solo”. Perché Gesù identifica il soccorritore? Dire di essere “Samaritano” ai tempi di Gesù significava quasi essere definito “Indemoniato”. La Samaria era una regione pagana, che i Giudei ritenevano pericolosa. Eppure a Gesù doveva piacere. È Samaritana anche la donna che lo disseta al pozzo e che in seguito a quell’incontro con Gesù si converte. Il fatto che sia un Samaritano a prestare aiuto significa che il “Prossimo” non è solo chi conosciamo, gli amici, quelli della nostra tribù e con i nostri stessi valori. Il Samaritano non credeva nello stesso Dio del Giudeo. Il Samaritano è quello che rimane fuori dal tempio. Tempio curato e frequentato dai primi due indifferenti della storia: il sacerdote e il levita. Non sono persone qualsiasi quelle che Gesù dice non si fermano per prestare soccorso al ferito. Sono due personaggi che hanno una funzione pubblica, peggio ancora, religiosa. Quante volte Gesù si scaglia contro coloro che si battono il petto nel Tempio, ritenendosi superiori a chi non lo frequenta. E noi non ci siamo mai vantati di conoscere Gesù… ma conoscerlo non significa “vivere come a lui piace”, ovvero accogliendo e avendo cura del prossimo proprio come fa il Samaritano, superando i pregiudizi, le differenze culturali, etniche o religiose. Iniziando dalle cose semplici, “alfabetizzandoci” alla cura partendo dalle piccole cose: rispettando e curando ogni creatura vivente, compreso il mondo che ci circonda. Preservando la dignità di ognuno attraverso il nostro agire.

Non possiamo sempre aspettare che siano gli altri ad agire per noi. È vero siamo piccole gocce…ma se uniamo le nostre forze possiamo fare quel “mare di bene, di fratellanza e inclusione” che contrasta il mare della corruzione. È nostra responsabilità agire per porci nella condizione di poter rispondere alla domanda del Papa: “ Tu in questo tempo pandemico, ma nella vita in generale, chi vuoi essere, Il ferito, il brigante, l’indifferente o il Samaritano?

Teresa Pontecorvo