Mese di Maggio: presentazione e riflessioni sull’enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”

Pubblicato giorno 3 maggio 2021 - Archivio, Insieme si può, Riflessioni

Insieme a Maria… noi tutti, fratelli e sorelle

“Insieme a Maria… noi tutti, fratelli e sorelle”  è un cammino di fede che nasce da riflessioni tratte dall’ultima Enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”.

Si tratta di un testo scritto in modo semplice e chiaro e composto di otto capitoli articolati in 287 brevi commi.

Temi portanti dell’enciclica sono la fraternità e l’amicizia sociale:  entrambi importanti per creare un nuovo sistema sociale capace di garantire la pace durevole tra i popoli.

È interessante notare come il Papa evochi accanto alla fraternità anche la libertà e l’uguaglianza,  ciò riporta in mente il famoso motto della Rivoluzione francese “Libertà, uguaglianza e fratellanza” ma qui egli antepone ai primi due termini l’ultimo, proprio per evidenziarne la diversa forza concettuale. Difatti non si tratta di mera fratellanza, vista come solidarietà tra persone, ma di vera fraternità intesa come legame trascendente, sentimento profondo che deve unire tutti i popoli del mondo, a prescindere da qualsiasi differenziazione geografica, etnica, religiosa, sociale, ecc., perché tutti figli dello stesso Padre.

Per illustrare questo concetto religioso il papa, come nelle due precedenti encicliche, s’ispira a San Francesco d’Assisi, ma è significativo anche il richiamo al Vangelo e, in particolare, alla parabola del Buon Samaritano.

Considerando San Francesco il Papa ci ricorda cosa fu per lui “la fraternità” che vide la sua massima espressione nell’abbraccio del lebbroso.  Con questo gesto il Santo invitava a un amore profondo che andava di là da ogni pregiudizio: abbracciava un malato che non conosceva, ripudiato da tutti e pertanto isolato, proprio come i lebbrosi al tempo di Gesù, per fargli sentire la sua vicinanza, il suo amore e la sua amicizia.

Il suo esempio, squisitamente evangelico – afferma papa Francesco- si traduce in  una fraternità aperta che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dov’è nato o dove abita.

San Francesco andò anche oltre ed estese questo suo sentimento di fraternità a tutto l’universo chiamando ogni cosa fratello o sorella, come ci ricorda il “Cantico delle creature”.

Ed è a questo profondo e religioso sentimento che si appella il Papa.

Egli di San Francesco dice: “La fedeltà al suo Signore era proporzionale al suo amore per i fratelli per le sorelle”. Comunicava a tutti l’amore di Dio.

Aveva compreso che “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”(Gv 4,16)

Per questo il Santo “è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di una società fraterna perché solo l’uomo che accetta di avvicinarsi alle altre persone nel loro stesso movimento, non per trattenerle, ma per aiutarle a essere maggiormente se stesse, si fa realmente padre.”

Questo è quanto auspica anche papa Francesco: una nuova comunità mondiale fondata su una vita cristiana che rende le persone unite, pur nella loro diversità, e impegnate, ognuno secondo le proprie possibilità, per il bene comune in uno spirito di un’amicizia sociale tale da farci considerare l’altro come fratello, figlio dello stesso Padre.

Questo legame di fraternità e di amicizia sociale, diverso e più profondo, spinge ad andare oltre la cerchia familiare e amicale per raggiungere anche chi è più lontano finanche gli stranieri per sentirsi in comunità allargata a livello mondiale. E qui l’accenno va anche agli immigrati, così maltrattati e poco integrati nei Paesi che li ospitano.

A rafforzare questo suo ideale di nuova vita cristiana è l’esempio, tratto dal Vangelo, del Buon Samaritano.

Lui soccorre il ferito che altri avevano ignorato, come farà poi San Francesco con il lebbroso.

Ne ha compassione: non considera la sua estrazione sociale, né la provenienza né la diversità, ma si ferma ad aiutarlo. Anzi fa di più: coinvolge l’albergatore in quest’opera immediata di soccorso innescando un processo di sostegno. A dimostrazione che il bene deve essere esteso a più persone, deve coinvolgere gruppi, istituzioni, comunità e popoli interi perché nessuno si salva da solo.

Abbiamo bisogno di una comunità di riferimento dove tutti cooperano per il bene comune.

Serve per questo l’esempio, il dialogo, l’incontro, la missione: ognuno di noi deve sentirsi fratello dell’altro… deve uscire da se stesso per andare incontro al suo prossimo, anche se non rientra tra le proprie conoscenze.

Questo ha fatto il Samaritano: si è fermato, non si è mostrato indifferente: ha dato del suo tempo e ha prestato le sue cure a chi non gli era parente o amico.

Da qui il richiamo ai nostri giorni che ci vedono correre tanto da non prestare cura a chi è nel bisogno per mancanza di attenzione e di tempo, quasi fregandocene dei problemi altrui.

Su di noi pesano “Le ombre di un mondo chiuso” caratterizzato dalla globalizzazione che “ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”.

Un esempio eclatante di questa vicinanza vuota è dato dagli strumenti digitali e in particolare dai social work, dove la comunicazione è tante volte invadente, violenta e poco rispettosa dell’altro (Cyberbullismo).

Predomina in questo mondo massificato la finanza e l’economia di un mercato mondiale che “privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza”. Da questo derivano la cultura dello scarto, il prevalere dei più forti, la perdita della storia e dell’identità della persona, la mancanza del gusto della fraternità.

La pandemia in atto n’è un esempio evidente.

Urge un cambio di rotta per recuperare il senso di appartenenza a una comunità in cammino fondata sulla fraternità e sull’amicizia sociale che dia valore alla nostra esistenza di cristiani.

Per fare questo, come ci suggerisce Papa Francesco, dobbiamo imparare, seguendo l’esempio di San Francesco e del Samaritano, ad “accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli” senza “girare lo sguardo, passare accanto e ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente”.

Dobbiamo quindi imparare un nuovo alfabeto: quello dell’accompagnamento, della cura e del sostegno del nostro prossimo, soprattutto dei più fragili e deboli delle nostre società.

Spiega bene questo passaggio nella guida alla lettura dell’enciclica, Alessandra Smerilli che afferma: “Come abbiamo bisogno di una scuola per imparare a leggere e a scrivere, così per imparare l’alfabeto della cura dobbiamo esercitarci, e bisogna imparare fin da piccoli. Per farlo dobbiamo riscoprirci come persone che necessitano di questa esperienza per restare umani”.

Le parole di Gesù a conclusione della parabola del Buon Samaritano rappresentato il monito a cui dobbiamo attenerci per avviare il cambiamento: “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,37).

  Anna Guarracino